Si tratta
di farmaci maneggevoli, avendo scarsi effetti collaterali e non essendo gravati
da rischio di overdose.
Sulla base degli studi
esistenti le regioni Toscana e Puglia hanno introdotto, per prime in
Italia, la rimborsabilità dei derivati dalla Cannabis: quelle leggi regionali e
le successive delibere attuative non specificano
né le patologie né la specializzazione del medico che prescrive.
Successivamente anche il medico di famiglia può continuare la prescrizione.
La regione Veneto, nell’ottobre 2012, è stata la seconda a dotarsi di una
legge (n. 38 del 28 settembre 2012) sull’uso dei derivati della cannabis; legge votata all’unanimità e
presentata con grande clamore, ma, purtroppo, rimasta lettera morta fino a quando una “commissione tecnica” la cui
composizione resta non meglio precisata ha stabilito le modalità attuative,
subito recepite dalla Regione con la delibera n. 2526 del 23 dicembre 2014, senza sentire le società scientifiche che si occupano di queste malattie
e senza consultare le associazioni di medici e pazienti che della legge si
erano fatte promotrici. La legge veneta prevede la rimborsabilità
esclusivamente per gli spasmi da
lesione del midollo e solo dopo aver provato tutti gli altri possibili farmaci
e solo su prescrizione di specialisti neurologi identificati.
E’ evidente che le decisioni di tale commissione tecnica non sono state
prese tenendo in considerazione gli studi e le metanalisi prodotte dalla
letteratura scientifica e che quindi la scelta fatta si è
basata solo sul timore di un uso indiscriminato dei cannabinoidi (come succede
per gli antiinfiammatori e per gli oppiodi). Il regolamento riduce l’accesso
alla terapia a poche decine di pazienti (solo 30
all’anno in base alla delibera), mentre viene negato ai tanti
pazienti affetti dalle patologie che possono potenzialmente rispondere ai
cannabinoidi. Il costo dei farmaci, nei casi non rimborsabili, è così elevato
da costringere i pazienti a rivolgersi al mercato nero o all’autocoltivazione,
con tutti i rischi, legali e non, a ciò connessi.
La conseguente disparità di trattamento tra i malati veneti e tra i
malati in altre Regioni crea di fatto malati e regioni
di I e II classe.
Nella delibera si trovano altri paradossi, come l’obbligo di utilizzare i
cannabinoidi “in associazione ai miorilassanti” proprio nei casi in cui questi
ultimi siano risultati inefficaci e l’obbligo per il medico prescrittore di
inviare alla regione (per monitorare, legittimamente, l’uso di questi farmaci) moduli compilati con
i dati dei pazienti, in contrasto con la legge.
Per far fronte a tali problemi, il Consiglio regionale ha approvato il 10 aprile scorso un
ordine del giorno, anche questo adottato senza voti contrari, che impegna la
Giunta regionale a revocare con effetto immediato la deliberazione n. 2526.
Con questa lettera chiediamo a Lei, in quanto candidato alle prossime elezioni del Consiglio Regionale del Veneto, di attivarsi per una urgente e radicale revisione della delibera in oggetto, e l’impegno affinchè la
legge possa essere finalmente applicata nel pieno rispetto del diritto alla
salute dei citttadini residenti in Veneto.
Chiediamo inoltre una presa di
posizione affinché sia scongiurata la ventilata ipotesi di chiusura del Centro
di Ricerche in Agricoltura CRA CIN di Rovigo, un’eccellenza veneta e italiana,
dove le linee italiane di cannabis, che vengono poi girate all’Istituto Chimico
Farmaceutico Militare di Firenze, sono state sviluppate, studiate e coltivate.
La sua chiusura non solo sarebbe economicamente controproducente, manderebbe in
fumo preziose risorse e conoscenze, ma taglierebbe alla radice la possibilità
di produzione di cannabis medica in Italia, che tornerebbe a dipendere
dall’estero, con ulteriore danno economico.
Aderisco
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