lunedì 6 giugno 2016

Biomonitoraggio PFAS nei Veneti: errori grossolani dei ricercatori o miracolo della Madonna di Monte Berico?

Il 20 aprile 2016, nel corso di una conferenza stampa che ha avuto un notevole risalto mediatico, sono stati presentati i risultati del biomonitoraggio eseguito su un campione di circa 500 cittadini Veneti.  Il biomonitoraggio è consistito nella ricerca nel sangue di una dozzina di sostanze perfluoroalchiliche o PFAS, le più note dei quali sono PFOA e PFOS .
Lo studio prevedeva originariamente di estrarre a sorte un campione di cittadini veneti, 240 residenti in zone “esposte o di impatto”, 240 provenienti da zone “non esposte o di controllo” e 120 selezionati fra addetti e proprietari di aziende agro- e zootecniche (vedi figura 1).
Figura 1 - Numero e comune di residenza dei partecipanti allo studio di monitoraggio. Da una presentazione della dottoressa Musmeci

Come si evince da vari documenti ufficiali, per esempio dalla “Scheda biomonitoraggio –stato dell’arte” elaborata dall’area sanità e sociale della regione, i comuni dell’area di impatto erano Brendola, Lonigo, Montecchio Maggiore e Sarego afferenti all’ULSS5 Ovestvicentino e Altavilla Vicentina, Creazzo e Sovizzo tutti dell’ULSS6 (figura 1). I comuni di controllo, la cui acqua potabile è risultata priva di PFAS erano localizzati in provincia di VI, TV e PD. Per area di impatto o ad alta esposizione si intende quella costituita dai comuni nei quali, nell’estate 2013, cioè prima dell’applicazione dei filtri e della miscelazione con acqua non contaminata,  si superavano i limiti di performance …”nell’ acqua potabile in distribuzione e nei pozzi privati ad uso potabile.”

I risultati di questo studio sono veramente sorprendenti poiché hanno evidenziato una situazione del tutto inaspettata per quanto riguarda i partecipanti residenti nell’ULSS 6. I quali, infatti, pur essendo considerati “esposti” come quelli provenienti dall’ULSS5, rispetto a questi, hanno presentato nel sangue  concentrazioni mediane molto, ma molto più basse, sia per quanto riguarda il PFOA (figura 2)  che per il PFOS (figura 3).

Figura 2- Concentrazioni di PFOS Confronto fra i risultati del biomonitoraggio veneto e altri esegiti in diverse nazioni in popolazioni espsote (colonne azzurre) e, nella popolazione generale americana e italiana (in verde)


Figura 3 - Concentrazioni di PFOA - Confronto fra i risultati del biomonitoraggio in Veneto e quello  comunità contaminata nella valle dello Ohio negli USA


Analizzando i grafici c’è veramente da restare meravigliati e si fa fatica a trovare una spiegazione scientifica e razionale a tale dato inatteso. Una mente “scientifica” potrebbe pensare a qualche improbabile forma di resistenza genetica innata nei residenti nella zone ad alto impatto dell’ULSS6 rispetto a quelli dell’ULSS5.  Altri potrebbero invocare, per esempio, un miracolo avvenuto per intercessione della Madonna di Monte Berico e/o dei santi protettori di Creazzo, Montecchio, Sovizzo e Altavilla, evidentemente più sensibili alla tematica dei PFAS rispetto ai santi protettori degli altri comuni. Grazie all’intercessione ultraterrena  i PFAS nei cittadini di quei comuni particolarmente fortunati si sarebbero volatilizzati facendo abbassare notevolmente le concentrazioni ematiche.
Ma noi medici dell’ISDE sappiamo che, purtroppo, la spiegazione è un’altra  e ha origini molto più terrene.  La spiegazione  è l’ errore pacchiano commesso dai ricercatori dell’ISS e della Regione nel definire il grado di esposizione  ai  PFAS dei vari comuni del vicentino. Essendo i livelli di PFAS determinati principalmente dalla quantità di queste molecole presenti nell’acqua bevuta ogni giorno, e questo i ricercatori avrebbero dovuto saperlo in anticipo, sarebbe stato logico considerare solo  le concentrazioni di PFAS riscontrate negli acquedotti dei comuni per selezionare le zone ad alta e bassa esposizione. Ora è noto a tutti, che i comuni di Creazzo, Altavilla Vicentina, Sovizzo e Montecchio Maggiore allacciarono decenni orsono i loro acquedotti a fonti di acque potabili prive di PFAS, fonti diverse da quelli che riforniscono gli altri comuni veramente esposti per decenni ai PFAS, per esempio Brendola.
 Il cambio delle fonti di approvvigionamento dell’acqua potabile di quei comuni, se non erro, fu deciso verso la fine degli anni 1970, in seguito al grave episodio di contaminazione delle falde acquifere vicentine causate dalla RIMAR (Ricerche Marzotto) come allora si chiamava la MITENI.  Evidentemente questo dato fondamentale era ignoto ai ricercatori dell’ISS, ai funzionari della Regione Veneto e ai dirigenti delle ULSS che stanno battendo a tappeto il regno dei PFAS per tranquillizzare la popolazione.
Quindi, i quattro suddetti comuni sono in realtà “non esposti” o, più correttamente, sono caratterizzati dalla stessa esposizione “di fondo” delle zone considerate non esposte. Però, se i valori di PFAS nel sangue dei cittadini considerati erroneamente (o in malafede, secondo alcuni) “esposti” sono utilizzati per calcolare i valori medi assieme a quelli dei “veramente esposti”, ecco che le medie risultano (falsamente) più basse rispetto a quelle dei cittadini dell’ULSS5 “veramene esposti”  e degli altri biomonitoraggi effettuati in giro per il mondo. Pertanto potrebbe essere non molto lontano dal vero chi pensa che si tratti non di errore grossolano bensì di malafede  e di un artificio voluto per abbassare volutamente le medie degli esposti e inviare messaggi “tranquillizzanti”  alla popolazione.


Nemmeno i più quotati dirigenti della regione, né la dottoressa Musmeci che ha presentato i dati,  si sono accorti dell’errore, dimostrando ancora una volta lo stato confusionale in cui spesso versano e la superficialità con la quale hanno gestito la grave vicenda della questione PFAS in Veneto. Lo dimostra l’esame delle figure 1 e 4, entrambe  riprese dalla presentazione della dottoressa Musmeci. Come si può vedere nella figura 1,  Montecchio Maggiore è compresa fra le zone ad alto impatto, mentre nella mappa della figura 4 il comune di Montecchio non è colorato di rosso. Ad indicare che non dovrebbe considerato ad alto rischio. E allor perché la dottoressa Musmeci  va in giro a presentare dati non corretti?
Noi dell’ISDE conoscevamo bene le diverse fonti di approvvigionamento dei comuni del regno dei PFAS, tanto che i quattro comuni dell’ULSS 6 erroneamente (?) considerati esposti  non sono stati inseriti nella lista dei comuni ad elevata esposizione ai PFAS nei quali abbiamo osservato un eccesso di mortalità storica rispetto ai comuni di controllo.

Figura 4 - Mappa dei comuni con diverso grado di espsoizione ai PFAS. da una presentazione della dottoressa Musmeci

Un’altra osservazione critica alla Musmeci, al dottor Celestino Piz dell’ULSS6 e agli altri funzionari mandati in giro a diffondere la lieta novella del miracolo compiuto nel vicentino, è che i risultati del biomonitoraggio veneto non sono confrontabili con quello eseguito negli altri paesi, soprattutto con quello compiuto negli USA nella valle del fiume Ohio. Negli USA, infatti, sono stati compresi nel biomonitoraggio cittadini di tutte le età, compresi bambini, adolescenti e anziani, mentre in Veneto  il biomonitoraggio ha escluso le fasce di età da 0-20 anni e sopra i 50 anni, cioè le fasce di età che, è noto da anni, presentano le concentrazioni più elevate di PFAS nel sangue. E anche per quanto riguarda questo aspetto, qualcuno, maliziosamente, potrebbe osservare che il biomonitoraggio veneto sia stato costruito per abbassare artificiosamente le medie e spargere camionate di tranquillanti nella popolazione.

Alla fine, pare che della cantonata se ne ne siano accorti anche in regione, tanto che nella nuova mappa dei comuni ad alto rischio, i quattro comuni sono stati tolti dalla zona rossa, nella quale osserviamo numerosi nuovi ingressi (figura 5).


Figura 5- Nuova mappa dei comuni  esposti ai PFAS in Veneto. La zona rossa presentea quelli maggiormente esposti, dal giornale di Vicenza


Dal momento che i risultati del biomonitoraggio sono stati inficiati dall’errata selezione dei comuni e i soggetti “veramente esposti” del campione di partecipanti sono un numero esiguo rispetto ai controlli, ne consegue che lo studio andrebbe rifatto da cima a fondo, non essendo il campione stesso statisticamente   rappresentativo. Senza considerare che, come affermato più volte dagli stessi responsabili del biomonitoraggio, non trovando un numero sufficiente di soggetti disponibili ad essere arruolati fra quelli esposti a sorte, sono stati costretti alla fine ad accettare volontari. E anche questo, può aver inficiato la rappresentatività statistica del campione e ostacolare una corretta estrapolazione dei risultati alla popolazione in toto. Infine, lo studio non è ancora terminato, poiché, a quanto sembra, non sono stati ancora arruolati tutti i 120 soggetti provenienti da un campione aziende agrozootecniche della regione che hanno utilizzato pozzi privati e che, presumibilmente sono stati esposti ad acque con concentrazioni molto più alte.

In conclusione, Bartali avrebbe detto: Il biomonitoraggio? L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare.

 E noi paghiamo sto fior fiore di funzionari regionali e di superiori scienziati..

Per scaricare la presentazione della dottoressa Loredana Musumeci cliccare qui 




2 commenti:

  1. Salve, chiedo...si potrebbe a carattere personale nominare un esperto che potesse fare sopralluoghi ed analisi "sicure"? Creare una sorta di gruppo che volontariamente (anche a pagamento) possa essere monitorato nei vari comuni. Se non sono cifre stratosferiche per la mia salute e dei miei familiari sarei disposto a spenderli. saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Le analisi dei pfas sul sangue costano circa 250 euro, sull'acqua all'incirca la metà. Cosa intende per monitorare?

      Elimina