domenica 10 maggio 2015

Terapia con farmaci cannabinoidi:appello ai candidati alle elezioni regionali. Io ho aderito all'appello


 L’efficacia terapeutica dei principi attivi della cannabis, detti cannabinoidi, in svariate patologie è oramai dimostrata da una vasta letteratura scientifica e da varie esperienze italiane e internazionali. Essi trovano un potenziale campo di applicazione nella sindrome da deperimento nell'AIDS, nel trattamento di nausea e vomito in corso di chemioterapia per neoplasie, in alcune forme di dolore cronico, nella fibromialgia, nella cefalea, nell’epilessia farmaco-resistente ed in altro ancora. Inoltre vi è sempre maggior evidenza di come i cannabinoidi possano aumentare l’azione analgesica degli oppioidi, permettendo quindi di ridurre il dosaggio (e i conseguenti effetti collaterali) degli oppioidi stessi nei pazienti con dolore cronico.
Si tratta di farmaci maneggevoli, avendo scarsi effetti collaterali e non essendo gravati da rischio di overdose.


Sulla base degli studi esistenti le regioni Toscana e Puglia hanno introdotto, per prime in Italia, la rimborsabilità dei derivati dalla Cannabis: quelle leggi regionali e le successive delibere attuative  non specificano né le patologie né la specializzazione del medico che prescrive. Successivamente anche il medico di famiglia può continuare la prescrizione.
La regione Veneto, nell’ottobre 2012, è stata la seconda a dotarsi di una legge (n. 38 del 28 settembre 2012) sull’uso dei derivati della cannabis; legge votata all’unanimità e presentata con grande clamore, ma, purtroppo, rimasta lettera morta fino a  quando una “commissione tecnica” la cui composizione resta non meglio precisata ha stabilito le modalità attuative, subito recepite dalla Regione con la  delibera n. 2526 del 23 dicembre 2014, senza sentire le società scientifiche che si occupano di queste malattie e senza consultare le associazioni di medici e pazienti che della legge si erano fatte promotrici. La legge veneta prevede la rimborsabilità esclusivamente per gli spasmi da lesione del midollo e solo dopo aver provato tutti gli altri possibili farmaci e solo su prescrizione di specialisti neurologi identificati.
E’ evidente che le decisioni di tale commissione tecnica non sono state prese tenendo in considerazione gli studi e le metanalisi prodotte dalla letteratura scientifica e che quindi la scelta fatta si è basata solo sul timore di un uso indiscriminato dei cannabinoidi (come succede per gli antiinfiammatori e per gli oppiodi). Il regolamento riduce l’accesso alla terapia a poche decine di pazienti (solo 30 all’anno in base alla delibera), mentre viene negato ai tanti pazienti affetti dalle patologie che possono potenzialmente rispondere ai cannabinoidi. Il costo dei farmaci, nei casi non rimborsabili, è così elevato da costringere i pazienti a rivolgersi al mercato nero o all’autocoltivazione, con tutti i rischi, legali e non, a ciò connessi.
La conseguente disparità  di trattamento tra i malati veneti e tra i malati  in altre  Regioni crea di fatto malati e regioni di I e II classe.
Nella delibera si trovano altri paradossi, come l’obbligo di utilizzare i cannabinoidi “in associazione ai miorilassanti” proprio nei casi in cui questi ultimi siano risultati inefficaci e l’obbligo per il medico prescrittore di inviare alla regione (per monitorare, legittimamente,  l’uso di questi farmaci) moduli compilati con i dati dei pazienti, in contrasto con la legge.
Per far fronte a tali problemi, il Consiglio regionale ha approvato il 10 aprile scorso un ordine del giorno, anche questo adottato senza voti contrari, che impegna la Giunta regionale a revocare con effetto immediato la deliberazione n. 2526.
Con questa lettera chiediamo a Lei, in quanto candidato alle prossime elezioni del Consiglio Regionale del Veneto, di attivarsi per una urgente e radicale revisione della  delibera in oggetto, e l’impegno affinchè la legge possa essere finalmente applicata nel pieno rispetto del diritto alla salute dei citttadini residenti in Veneto.

Chiediamo inoltre una presa di posizione affinché sia scongiurata la ventilata ipotesi di chiusura del Centro di Ricerche in Agricoltura CRA CIN di Rovigo, un’eccellenza veneta e italiana, dove le linee italiane di cannabis, che vengono poi girate all’Istituto Chimico Farmaceutico Militare di Firenze, sono state sviluppate, studiate e coltivate. La sua chiusura non solo sarebbe economicamente controproducente, manderebbe in fumo preziose risorse e conoscenze, ma taglierebbe alla radice la possibilità di produzione di cannabis medica in Italia, che tornerebbe a dipendere dall’estero, con ulteriore danno economico.

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