lunedì 11 gennaio 2016

DuPont, il giorno del giudizio si avvicina

Sono trascorsi oltre 15 anni da quando Bob Billott, un avvocato di Cincinnati, iniziò a indagare sul caso delle morti misteriose di numerosi capi di bestiame avvenute  nell’area attorno all’impianto chimico della Du Pont di Parkesbourg, Virginia. Nel 1998,  l’avvocato Billot, era stato ingaggiato da una famiglia di agricoltori che l’anno precedente avevano venduto una parte dei loro terreni adiacenti alla multinazionale, la quale  voleva utilizzarli per costruirci una discarica per rifiuti non pericolosi prodotti nella fabbrica stessa. Dopo qualche mese, mentre il bestiame continuava a morire, l’avvocato scoprì che la DuPont aveva contaminato le falde acquifere del fiume Ohio con una sostanza cancerogena utilizzata per la produzione del Teflon da oltre 50 anni.  Nonostante avessero  prove inconfutabili sulla pericolosità del PFOA, i dirigenti della DuPont continuarono a sversare il PFOA nell’acqua, nei suoli e nell’atmosfera  della Valle del fiume Ohio.

A distanza di oltre 60 anni dall’inizio della produzione, sono cominciate le cause intentate da circa 3500 abitanti (su circa 69000 potenzialmente esposti) che ritengono di aver subito danni alla propria salute  in seguito all’esposizione al PFOA.
Nel 2001 l’avvocato Billott inviò l’imponente  documentazione che aveva raccolto all’EPA (in pratica l’equivalente americano del  nostro ministero  per l’ambiente) che nel 2005 multò la DuPOnt per 16,5 milioni di dollari per i danni causati dal PFOA. Nel 2006, oltre 50.000 residenti intentarono una class action contro la  Dupont che patteggiò per 235 milioni di dollari (con la possibilità di aumentare la multa fino a 330 milioni) e si impegnò a filtrare l’acqua potabile fornita dall’acquedotto di sei piccole cittadine e villaggi.

Le cause iniziate a settembre 2015 sono intentate dai singoli soggetti che hanno contratto una delle sei malattie riconosciute più frequenti nei soggetti che  avevano bevuto l’acqua contaminata: cancro del rene, cancro dei testicoli, malattie della tiroide,  ipercolesterolemia (aumento del colesterolo nel sangue), colite ulcerosa, ipertensione della gravidanza.
Il tribunale ha ammesso al giudizio solo gli abitanti che avevano bevuto acqua contenente più di 500 ng/L di PFOA (o 0,5 parti per miliardo)  e hanno contratto una delle suddette malattie, escludendo tutti gli altri che avevano bevuto acqua con concentrazioni inferiori di PFOA e/o avevano malattie diverse da quelle appena ricordate.

Nonostante gli studi compiuti in tutto il mondo abbiano confermato la pericolosità del PFOA, anche a livelli notevolmente inferiori a quelli decisi dal tribunale americano, l’EPA non ha ancora stabilito dei limiti di legge, anzi, recentemente, dirigenti dell’agenzia hanno dichiarato che bisognerà attendere almeno fino al 2021 prima che decidano se proporre degli standard validi a fini legali.

Nonostante le autorità americane siano state incapaci di difendere al salute dei propri cittadini, il giorno della resa dei conti con la DuPOnt si sta avvicinando per migliaia di inermi cittadini dell’Ohio e della Virginia nel tribunale federale di Columbs, Ohio.
Traduzione dell’ articolo “Day of reckoning for Dupont Over Teflon Chemical”  pubblicato da Bill Walker il 15 settembre 2015 , sul bloc Common Dreams.

Commento
È forse per seguire l’esempio del tribunale americano che in Italia si è scelto un valore di 500 ng/L per il PFOA nell’acqua potabile?
È sempre per copiare gli americani che dovremo aspettare anche noi almeno fino al 2021 prima di avere degli standard di legge?
Capite cosa significa avere dei limiti più o meno bassi? Per esempio, anche un tribunale italiano potrebbe un giorno escludere tutti coloro che si siano ammalati di una o più malattie da PFAS e che abbiano bevuto acqua contenente meno di 500 ng/L di PFOA. Probabilmente la maggioranza dei cittadini veneti contaminati.
Anche per questo motivo diventa ancora più urgente partecipare all’indagine epidemiologica organizzata da ISDE Vicenza. Potrebbe essere il primo passo per intentare anche una class action in Italia, anche se la cosa è molto più difficile che in America. Più difficile, ma non impossibile.

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