Bersani, veramente pensi che la "spending review" del professor Monti vada proprio bene, soprattutto agli otto milioni di poveri che sicuramente sono aumentati a causa delle politiche del governo che stai appoggiando?
Forse ti farebbe bene leggere l'articolo del professor Guido Rossi sul sole 24ore
L'affabulazione che domina la globale società dell'informazione, dei media e del mondo politico e sociale ha fatto cilecca. Tra l'indifferenza di quasi tutti i maggiori quotidiani e delle televisioni, nonché di una Camera dei deputati annoiata e assente, e forse ostile, è stato definitivamente approvato giovedì scorso il cosiddetto "fiscal compact".
Si tratta, in più chiare lettere, di un trasferimento di sovranità della politica economica e fiscale nazionale a un'Europa per ora solo burocratica, intergovernativa e ben lungi dall'essere ancora un'unità politica, ma se pur zoppa, sempre più potente e sempre più tedesca.
L'Italia è così fin d'ora obbligata al pareggio di bilancio e alla riduzione forzata del debito pubblico nei prossimi vent'anni con un rientro del 3% sulla quota eccedente il 60% del prodotto interno lordo. Allo stato attuale ciò significa una riduzione di più di quaranta miliardi l'anno, che può aumentare e diventare insostenibile se il Pil diminuisce e il debito, con il progredire dello spread, aumenta.
E son previste allora sanzioni per l'inadempimento, fino allo 0,1% del Pil, decise dalla Corte di giustizia europea, su denuncia di altro Stato membro (la Germania?). Intanto, insieme arrivano i tagli di bilancio con la cosiddetta "spending review", che fa pensare che le decisioni di trasferimento a Bruxelles di una parte della sovranità nazionale comportano anche una sorta di amnesia nei confronti della lingua italiana.
La gravità della situazione, annunciata ufficialmente dal diffondersi del contagio, quasi noi non fossimo mai stati malati, vieppiù alimenta la macchina della paura.
Quella paura considerata la sola a motivare l'obbedienza alla legge e giustificare, secondo Hobbes, la violenza dello Stato creatore e detentore del diritto e perciò autorizzato anche a sospenderlo. Ma oggi la paura è per lo più creata dalla speculazione finanziaria e non dalla sovranità di uno Stato Europa, che non esiste, bensì da un Leviatano burocratico che soggioga Stati sovrani derivando la sua forza dal capitalismo finanziario che va erodendo i fondamentali diritti umani.
Non va però dimenticato che la storia dei diritti dell'uomo è una storia dell'antipolitica, cioè di rivendicazione nei confronti della violenza del Leviatano, che ingiustamente Bentham riconosceva come unico dispensatore di diritti. È pur vero che quei diritti non possono più essere considerati diritti naturali; come ha sostenuto Norberto Bobbio, forte dell'insegnamento di Giambattista Vico, i diritti dell'uomo sono storici e non assoluti, ma in continua evoluzione. Essi son esplosi internazionalmente nel 1945 e la Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite del 1948 ha dato inizio a un loro processo di positivizzazione.
Questi diritti, da quelli di libertà a quelli politici e sociali, sono infatti diventati norme cogenti nelle principali Costituzioni e perciò, da scopo principale dei movimenti ideali, di ribellione e protesta contro le violenze dello Stato, cioè il diritto del più forte secondo Spinoza, fanno ormai parte dell'architettura dello Stato di diritto. È così che qualsivoglia "fiscal compact" o "spending review" non possano e non debbano essere prioritari al rispetto di quei diritti, a evitare che la loro sacrosanta rivendicazione generi violenze e paura o porti a disordini sociali o a scalfire i principi fondamentali della democrazia.
Non corre dubbio poi che la tutela di quei diritti comporti, anche nella situazione odierna, un necessario riordino delle inefficienze e degli sprechi dell'amministrazione pubblica, nonché l'opportunità di tagli prodromici da un lato alla crescita contro speculazione e depressione economica, e dall'altro a diventare eccellente occasione per una maggior tutela di quei diritti.
Un esempio tra quelli più evidenti è il diritto alla salute, sicuramente prioritario, sia per la ricerca, ove l'Italia ha insegnato al mondo, sia per l'attuale organizzazione sanitaria in generale. La recente importantissima decisione della Corte Suprema americana sulla riforma sanitaria del presidente Obama è la prova della valenza universale e della centralità di questo principio.
Mi preme ora solo ricordare che la priorità del diritto alla salute è un antico pilastro della civiltà, se insospettabilmente lo stesso Cartesio lo considerava fondamentale, sicché chiudendo il suo "Discorso sul metodo", avvertiva che «ho deliberato di impiegare il tempo che mi resta da vivere... (per) ricavare regole per la medicina più sicure di quelle in uso fino ad oggi».
Sui tagli alla sanità, forse troppo frettolosamente e genericamente indicati, senza discrimine, per il 2012 e poi in aumento nel 2013 e ancora nel 2014 e così di seguito, è dubbio che si sia tenuto molto conto di quel che ho fin qui detto. Una seria politica dei tagli può solo attuarsi avendo come riferimento l'articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». È bene anche ricordare alcuni dati comparati sulla spesa sanitaria rispetto al Pil. La percentuale di tale spesa nel 2009, l'ultima rilevata dall'Organizzazione mondiale della sanità è in Italia del 9,4%, rispetto all'11,7% della Germania, l'11,9% della Francia e il 17,6% per gli Stati Uniti. Che esistano tuttavia anche da noi inefficienze e sprechi nel settore della sanità, che investono in diverse misure sia quella pubblica sia quella privata, così come nelle distribuzioni ospedaliere sul territorio, spesso ripetitive e superflue, nonché nell'uso dei farmaci e degli esami clinici, non v'è dubbio.
Ma non v'è altrettanto dubbio che in Italia esistono centri di eccellenza, medici e ricercatori di fama internazionale; questi non vanno né tagliati né assimilati ai casi di spreco, al contrario devono essere aiutati.
Il 16 giugno scorso, sul "Corriere della Sera", Giuseppe Remuzzi a conforto delle linee sopra indicate ha citato un bellissimo articolo apparso sul "New England Journal of Medicine" il 24 maggio, dal significativo titolo: «Dall'etica dei tagli all'etica di evitare gli sprechi». Il testo di Howard Brody potrebbe valere per tutta la "spending review", dacché la base del contenuto dell'articolo, ricco di riferimenti, è che l'etica dei tagli e l'etica di evitare gli sprechi sono fra loro complementari e non competitive. Esse dunque vanno ricomposte con un attento rispetto dei diritti umani in tutti i settori, compresi quelli sociali ed economici, a evitare che un'etica falsa e trasandata possa provocare reazioni di opposizione e sfiducia verso la politica e le istituzioni, causando solo disorientamento e malessere sociale. Un più attento rispetto e una maggiore considerazione prioritaria dei diritti, la cui base etica è fuori discussione, non solo favorirebbe la crescita facilitando l'uscita dalla crisi, ma isolerebbe altresì qualsiasi tipo di derive populiste.
22 luglio 2012
Forse ti farebbe bene leggere l'articolo del professor Guido Rossi sul sole 24ore
L'etica che ci può (davvero) salvare
Si tratta, in più chiare lettere, di un trasferimento di sovranità della politica economica e fiscale nazionale a un'Europa per ora solo burocratica, intergovernativa e ben lungi dall'essere ancora un'unità politica, ma se pur zoppa, sempre più potente e sempre più tedesca.
L'Italia è così fin d'ora obbligata al pareggio di bilancio e alla riduzione forzata del debito pubblico nei prossimi vent'anni con un rientro del 3% sulla quota eccedente il 60% del prodotto interno lordo. Allo stato attuale ciò significa una riduzione di più di quaranta miliardi l'anno, che può aumentare e diventare insostenibile se il Pil diminuisce e il debito, con il progredire dello spread, aumenta.
E son previste allora sanzioni per l'inadempimento, fino allo 0,1% del Pil, decise dalla Corte di giustizia europea, su denuncia di altro Stato membro (la Germania?). Intanto, insieme arrivano i tagli di bilancio con la cosiddetta "spending review", che fa pensare che le decisioni di trasferimento a Bruxelles di una parte della sovranità nazionale comportano anche una sorta di amnesia nei confronti della lingua italiana.
La gravità della situazione, annunciata ufficialmente dal diffondersi del contagio, quasi noi non fossimo mai stati malati, vieppiù alimenta la macchina della paura.
Quella paura considerata la sola a motivare l'obbedienza alla legge e giustificare, secondo Hobbes, la violenza dello Stato creatore e detentore del diritto e perciò autorizzato anche a sospenderlo. Ma oggi la paura è per lo più creata dalla speculazione finanziaria e non dalla sovranità di uno Stato Europa, che non esiste, bensì da un Leviatano burocratico che soggioga Stati sovrani derivando la sua forza dal capitalismo finanziario che va erodendo i fondamentali diritti umani.
Non va però dimenticato che la storia dei diritti dell'uomo è una storia dell'antipolitica, cioè di rivendicazione nei confronti della violenza del Leviatano, che ingiustamente Bentham riconosceva come unico dispensatore di diritti. È pur vero che quei diritti non possono più essere considerati diritti naturali; come ha sostenuto Norberto Bobbio, forte dell'insegnamento di Giambattista Vico, i diritti dell'uomo sono storici e non assoluti, ma in continua evoluzione. Essi son esplosi internazionalmente nel 1945 e la Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite del 1948 ha dato inizio a un loro processo di positivizzazione.
Questi diritti, da quelli di libertà a quelli politici e sociali, sono infatti diventati norme cogenti nelle principali Costituzioni e perciò, da scopo principale dei movimenti ideali, di ribellione e protesta contro le violenze dello Stato, cioè il diritto del più forte secondo Spinoza, fanno ormai parte dell'architettura dello Stato di diritto. È così che qualsivoglia "fiscal compact" o "spending review" non possano e non debbano essere prioritari al rispetto di quei diritti, a evitare che la loro sacrosanta rivendicazione generi violenze e paura o porti a disordini sociali o a scalfire i principi fondamentali della democrazia.
Non corre dubbio poi che la tutela di quei diritti comporti, anche nella situazione odierna, un necessario riordino delle inefficienze e degli sprechi dell'amministrazione pubblica, nonché l'opportunità di tagli prodromici da un lato alla crescita contro speculazione e depressione economica, e dall'altro a diventare eccellente occasione per una maggior tutela di quei diritti.
Un esempio tra quelli più evidenti è il diritto alla salute, sicuramente prioritario, sia per la ricerca, ove l'Italia ha insegnato al mondo, sia per l'attuale organizzazione sanitaria in generale. La recente importantissima decisione della Corte Suprema americana sulla riforma sanitaria del presidente Obama è la prova della valenza universale e della centralità di questo principio.
Mi preme ora solo ricordare che la priorità del diritto alla salute è un antico pilastro della civiltà, se insospettabilmente lo stesso Cartesio lo considerava fondamentale, sicché chiudendo il suo "Discorso sul metodo", avvertiva che «ho deliberato di impiegare il tempo che mi resta da vivere... (per) ricavare regole per la medicina più sicure di quelle in uso fino ad oggi».
Sui tagli alla sanità, forse troppo frettolosamente e genericamente indicati, senza discrimine, per il 2012 e poi in aumento nel 2013 e ancora nel 2014 e così di seguito, è dubbio che si sia tenuto molto conto di quel che ho fin qui detto. Una seria politica dei tagli può solo attuarsi avendo come riferimento l'articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività e garantisce cure gratuite agli indigenti». È bene anche ricordare alcuni dati comparati sulla spesa sanitaria rispetto al Pil. La percentuale di tale spesa nel 2009, l'ultima rilevata dall'Organizzazione mondiale della sanità è in Italia del 9,4%, rispetto all'11,7% della Germania, l'11,9% della Francia e il 17,6% per gli Stati Uniti. Che esistano tuttavia anche da noi inefficienze e sprechi nel settore della sanità, che investono in diverse misure sia quella pubblica sia quella privata, così come nelle distribuzioni ospedaliere sul territorio, spesso ripetitive e superflue, nonché nell'uso dei farmaci e degli esami clinici, non v'è dubbio.
Ma non v'è altrettanto dubbio che in Italia esistono centri di eccellenza, medici e ricercatori di fama internazionale; questi non vanno né tagliati né assimilati ai casi di spreco, al contrario devono essere aiutati.
Il 16 giugno scorso, sul "Corriere della Sera", Giuseppe Remuzzi a conforto delle linee sopra indicate ha citato un bellissimo articolo apparso sul "New England Journal of Medicine" il 24 maggio, dal significativo titolo: «Dall'etica dei tagli all'etica di evitare gli sprechi». Il testo di Howard Brody potrebbe valere per tutta la "spending review", dacché la base del contenuto dell'articolo, ricco di riferimenti, è che l'etica dei tagli e l'etica di evitare gli sprechi sono fra loro complementari e non competitive. Esse dunque vanno ricomposte con un attento rispetto dei diritti umani in tutti i settori, compresi quelli sociali ed economici, a evitare che un'etica falsa e trasandata possa provocare reazioni di opposizione e sfiducia verso la politica e le istituzioni, causando solo disorientamento e malessere sociale. Un più attento rispetto e una maggiore considerazione prioritaria dei diritti, la cui base etica è fuori discussione, non solo favorirebbe la crescita facilitando l'uscita dalla crisi, ma isolerebbe altresì qualsiasi tipo di derive populiste.
22 luglio 2012
è incredibile come si cerchi di convincere la gente che tutto va bene così; il PD è destinato a perdere se continua a credere che l'alleanza con Casini e i moderati possa essere ben vista dalle fasce più deboli della popolazione
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